
30 Aprile 2016 – E fu sera e fu mattina
La sveglia è diversa, oggi. Tutto è diverso. Sembra quasi che l’entusiasmo dei giorni passati ceda il passo ad un velo di malinconia. Stiamo metabolizzando che il viaggio giungerà presto al termine. Si parte in silenzio per l’undicesimo giorno in kayak, sulla solita tavola dorata mattutina, ed in silenzio si resta a lungo.
Si cerca in qualche modo di fissare nella memoria i ricordi dei luoghi, delle persone, dei suoni. Le mani, sofferenti e screpolate, cercano il loro posto sulla pagaia, per portare a termine la missione. Ma la spinta che conferiscono oggi è solo un lontano e blando ricordo del vigore dei giorni passati.
Il Po di Goro si apre a destra e lentamente si allontana mentre noi si imbocca il corso principale verso Est, diretti a Pila. Silenzio. E’ un viaggio diverso, questo. La meta è solo un minuscolo punto geografico. La destinazione, invece è un’altra. E’ un impasto meraviglioso di accresciuta fiducia in se stessi e nei propri mezzi, magistralmente mescolato con il nobile fine dell’iniziativa, mantecato fuori fiamma con una generosa spolverata di emozioni, guarnito dal logorio delle nostre membra e impiattato accanto ad un enorme bagaglio di informazioni da custodire gelosamente nel tempo.
Ancora silenzio.
Pausa pranzo nei pressi di Taglio di Po. Scavalco la staccionata del pontile alla ricerca disperata di un panino, impresa inaspettatamente ardua da portare a termine. Dopo una lunga camminata torno da Giuseppe, con un sacchetto quasi ridicolo contenente il nostro pranzo. Panini improvvisati in un ristorante con la serranda aperta a metà. Meglio di niente. Qualsiasi cosa è meglio di niente. Con qualche difficoltà, e dopo aver quasi demolito il pontile tenuto insieme per miracolo da chiodi arrugginiti e tronchi marci, torniamo in acqua. Il Fiume, anche oggi, decide di prendersi gioco di noi. Il vento si alza impetuoso e con lui le onde. Contro, ovviamente, manco a dirlo.
Il tragitto fino a Porto Tolle, 8 chilometri scarsi, è estenuante. Con rapidità indirizziamo la prua verso destra per sgattaiolare rapidamente nella piccola moderna struttura portuale in costruzione. Finalmente un riparo efficace dal vento e dalle onde del Fiume: giusto qualche minuto per riposare, prima di affrontare gli ultimi 14 chilometri che separano i nostri corpi da Pila. I corpi, perché le menti sono ancora distribuite lungo il Fiume a censirne meticolosamente ogni angolo.
Si riparte. Dobbiamo attraversare, ora, perché l’approdo di Pila è sulla sponda opposta. Più facile a dirsi che a farsi: il Fiume è ampio, il vento tira forte e le onde non aiutano di certo. Di nuovo quella sensazione d’essere un granellino di sabbia nell’universo.
Ultimi sforzi
8 chilometri ancora. Dividiamo il tratto da percorrere in piccoli pezzetti, per rifiatare. 3,5 chilometri. Quando il gps segna 1 chilometro a destinazione, per uno strano meccanismo chimico, le energie tornano a far capolino, rinvigorendo il nostro pagaiare.
Le orecchie, assuefatte al rumore del vento, lentamente iniziano a percepire le grida delle famiglie e degli amici che ci aspettano sul pontile, prima che gli occhi possano in realtà vederli. Dopo qualche minuto le nostre pagaie si alzano al cielo, in segno di vittoria.
Sedici anni per decidere di partire, dal momento dell’idea originale. Felice mi accorgo ora che probabilmente non l’avrei apprezzato e vissuto in modo così profondo, in prima giovinezza. Quattro mesi per preparare il viaggio, per noi e per i bimbi di Renken.
Siam giunti, dunque. Un po’ più magri, e certamente più cresciuti.